16 aprile 2013

FILM AL CINEMA - Il cinema ludico-catartico e l'approccio critico-esistenziale: "I Croods" ("The Croods") di Kirk De Micco e Chris Sanders

Quest'ultimo prodotto Dreamworks non fa che confermare una paradossale tendenza già nota, che vede affidata alla messinscena digitale del cartoon in CGI la rappresentazione della parte più ancestrale che ancora vive in noi, sotto i nostri abiti civilizzati. Gli esempi sono diversi, dalla saga de "L'era glaciale" a quella di "Madagascar". "I Croods" torna direttamente all'epoca preistorica e fa pieno centro, tanto che potrebbe essere preso come esempio di  quel cinema ludico-catartico che ben si sposa con l'approccio della critica esistenziale, promossa da questo sito. Ad un film come questo non manca nessuno di quegli elementi che possono aiutare a vivere lo spettatore: permette di evadere in uno scintillante mondo di fantasia, intrattiene con un ritmo avvincente, fa appassionare ai personaggi (che mantengono una traccia archetipica pur nell'approfondimento dei caratteri), alleggerisce attraverso l'ironia ed i siparietti comici, diverte per mezzo di una regia spettacolare (soprattutto nelle sequenze d'azione mozzafiato), consente una sublimazione della pulsione aggressiva attraverso la rappresentazione avventurosa dei conflitti, arricchisce attraverso un messaggio edificante (nel senso migliore del termine), veicola - in maniera direttamente emotiva - diverse sottotracce che possono tradursi in motivi di riflessione per la vita quotidiana.
Senza nessuna pretesa esaustiva si suggerisce qualche spunto esistenziale. E' veramente curioso come la filosofia di vita del capofamiglia dei cavernicoli Croods - espressa a chiare lettere, con tanto di racconti e pitture murali, nonché imposta in virtù del suo ruolo - sia rappresentata con accenti che sembrano avere non poco  in comune con una diagnosi psicologica relativa ad atteggiamenti fobici ed ossessivi: la novità è male, la paura è bene, attenersi alle regole e al conosciuto, non cercare la sperimentazione. Il pessimismo che si cela dietro questo approccio è reso esplicito anche dai dialoghi ("Chi l'ha detto che sopravvivere sia divertente?" esclama ad un certo punto) e la massima qualità di questo personaggio (Grug il suo nome), oltre al talento nel difendere e preservare (a partire dalla gestione della grotta), è quella della forza bruta. Interessante è la dialettica che la vicenda sviluppa a partire dal confronto tra questa impostazione e quella di un temporaneo antagonista, il nomade Guy, che personifica invece l'intelligenza e la creatività (conosce il fuoco ed è abile nella caccia). L'avventura di questo gruppo nel viaggio, costellato da parecchie insidie, alla ricerca di una nuova terra nella quale stabilirsi può essere letta quindi come un percorso di armonizzazione di diverse parti che compongono la nostra complessa personalità di spettatori contemporanei: la forza usata esclusivamente come strumento difensivo che poggia sulla paura genera ripetitività, chiusura, paranoia (la grotta di Grug come una metaforica autoreclusione, protettiva ma escludente, che impedisce di vivere appieno le potenzialità dell'esperienza vitale in favore di una mera sopravvivenza), mentre la creatività che non ha basi nel radicamento terreno, nell'adesione all'aspetto concreto e materiale dell'esperienza, rischia di diventare un vagheggiamento ideale incapace di tradursi in effettività (Guy ha bisogno della forza di Grug per poter mettere in pratica il suo progetto). 
La visione del film può evocare perciò una simbolica riconciliazione interna in chi guarda, attraverso lo strumento dell'immedesimazione. Volendo approfondire si potrebbero scovare altre chiavi di lettura di questo cartoon. Oppure goderselo semplicemente senza troppo pensarci su. A voi la scelta.
Pier

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