5 aprile 2013

FILM AL CINEMA - "Un giorno devi andare" di Giorgio Diritti

Dopo l’incantevole "Il Vento fa il suo giro" ed il pregevole "L’Uomo che verrà", Giorgio Diritti propone al pubblico una nuova opera di tutto rispetto - di cui è anche co-sceneggiatore insieme a Fredo Valla - ma meno convincente delle due precedenti.
La giovane Augusta, fortemente provata da una tragedia personale, lascia l’Italia per raggiungere il Brasile degli ultimi, con i quali condivide la quotidianità fornendo il suo contributo. Lo sguardo intenso della protagonista (la brava Jasmine Trinca) colpisce e domina l’intero film. I suoi occhi scrutano ovunque nell'incessante ricerca di qualcosa che non trova dentro di sé, di un senso da dare alla propria esistenza. Tutto intorno a lei ha il sapore e l’odore della povertà più assoluta e della miseria più dura ma entrambe sono espresse da occhi carichi di tutt'altra sofferenza: quella che non impedisce di sorridere a chi, pur nell'estrema difficoltà di vita quotidiana, non è stato ancora piegato dal peso insopportabile dell’indigenza e della mancanza assoluta di igiene, risorse e cure. Da qui l’intensità che pervade l’opera e che culmina in quello sguardo che indaga e scava ininterrottamente ovunque, nel tentativo di conoscere e capire la propria identità profonda, che si posa sulle ampie distese di acqua, sulle favelas luride e fatiscenti in cui la vita ancora pulsa, su uomini, donne, vecchi, bambini che paiono avere sempre una ragione per vivere.
Quello sguardo, che musiche e fotografia rendono ancora più penetrante, sembra però non riuscire mai ad approdare a qualcosa di risolutivo. Cosa ne sarà della protagonista e del suo immenso dolore che fiacca pesantemente la sua anima? La domanda resta aperta, il film non fornisce una vera e propria soluzione. Certamente evidenzia l’importanza fondamentale della vita di comunità, del senso di solidarietà e di condivisione che la anima e vivifica, dando significato ad un'esistenza altrimenti negletta. Forte è poi la spiritualità che si percepisce nel corso dell'intera vicenda ma neanche quella sembra essere la strada adatta a dare ad Augusta la risposta ai suoi bisogni esistenziali. Forse l’unica possibile soluzione resta la seguente: solo attraverso l’elaborazione del lutto - lunga, irta, faticosa e spesso lacerante - è possibile rinascere e concedersi di nuovo alla vita.
AleLisa

2 commenti:

  1. Ciao Ale, condivido in linea generale quello che hai scritto. Lo spessore espressivo c'è (e si nota sia nella forza visiva delle immagini che nell'intensità drammatica del racconto) ma il film, come dici tu, non conclude e questo provoca una certa delusione. Dopo tanto impegno richiesto allo spettatore per seguire un percorso narrativo lento (a base di continue pause nel racconto e inquadrature liriche) e non certo leggero (la rappresentazione della miseria morale e materiale viene reiterata spesso, dalle immagini relative al degrado fisico e ambientale ai primi piani sofferti della protagonista) a cosa si approda? Ad un finale aperto che lascia l'impressione del già visto. E al termine della visione ciò che resta è soprattutto un senso di malessere e confusione.

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  2. Non posso affermare, nel mio caso, che il film mi abbia lasciato un senso di malessere e confusione.
    Direi più un senso di incompiutezza perché non si coglie il suo messaggio finale (da qui la mia proposta interpretativa).
    Considerata la maestria espressiva di Giorgio Diritti ciò francamente delude un po’.

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