18 febbraio 2012

FILM AL CINEMA - "La talpa" ("Tinker Tailor Soldier Spy") di Tomas Alfredson

Trasposizione cinematografica del celebre romanzo omonimo di John le Carré, "La talpa" si fa notare per una profondità di approccio ed un rigore formale in grado di trascendere il genere spionistico in direzione di una rappresentazione di più vasto respiro. L'intricatissima vicenda (ambientata negli anni '70 ed incentrata sul tentativo di smascherare un infiltrato sovietico all'interno del servizio segreto britannico) si dipana tra tempi e luoghi diversi senza troppo evidenti soluzioni di continuità: a questa modalità di racconto, che infrange la progressione diegetica, fa riscontro l'adozione di un registro antispettacolare, con pochissime e brevi scene d'azione, nonché una rappresentazione della violenza (sempre per squarci fugaci) piuttosto realistica e priva di qualsiasi estetizzazione. Questa scelta narrativa richiede un certo impegno allo spettatore, inducendolo ad un costante esercizio dell'attenzione: se si è disposti a farsi catturare dal racconto, proprio l'intensità della concentrazione può procurare un'evasione dall'ordinario ben più profonda di quella offerta dalla media dei film di puro intrattenimento. Inizialmente ci si può sentire disorientati dall'accumularsi di informazioni che non si riescono ad inquadrare in un contesto coerente ma alla fine ogni dettaglio viene chiarito e collocato al suo posto, come in un puzzle.
La cifra stilistica dell'opera è improntata ad un'estrema eleganza e ad un tono sommesso. Le scelte di regia - a tratti avvolgenti, a volte insinuanti, quando non improvvisamente rivelatrici - si intrecciano sapientemente con la sceneggiatura e le altre componenti filmiche dando vita ad una messinscena che ha la grazia di una danza, dall'incedere lieve che dissimula la densità emotiva che la sottende. Notevole il lavoro sul sonoro (a partire dalle musiche di Alberto Iglesias), l'accuratezza della ricostruzione d'ambiente e la fotografia che si richiama a quella di certi film degli anni '70 senza diventarne la maniera.
Veramente superba la prova degli attori, nessuno escluso. Sono loro a dare consistenza a quello che è uno dei punti di forza maggiori del film: il disegno dei personaggi. Si imprimono nella memoria queste spie del tutto prive di qualsiasi aria superomistica (alla James Bond per intenderci), che assomigliano piuttosto a dei travet, colti nella loro quotidianità, osservati nei loro aspetti più dimessi come anche nei loro risvolti emotivi. A cominciare dal protagonista, un uomo avanti negli anni e abbandonato dalla moglie, interpretato da un impagabile Gary Oldman. Nel tratteggiare questo campionario umano "La talpa" assume la dimensione dell'affresco corale, mentre dal tessuto della narrazione si fa progressivamente strada una componente lirica, venata di soffusa malinconia. Perché, come già è stato scritto, il tema centrale della vicenda è l'amore, per quanto impossibile, perduto, tradito o magari ritrovato... Il magma dei sentimenti è comunque rappresentato sottotraccia e in questo risulta decisiva la misura interpretativa degli attori - giocata soprattutto sulla sottrazione - tanto quanto la sensibilità degli sceneggiatori e del regista. Solo nella sequenza finale Alfredson si permette di alzare appena un po' il tono attraverso l'accentuazione elegiaca ed un accenno di solennità, non mancando comunque di far contrappuntare ironicamente le immagini dalla colonna sonora (la canzone "Le mer" eseguita da Julio Iglesias).
Nonostante veicoli un messaggio cupo, malinconico e pessimista, "La talpa" può comunque aiutare a vivere - almeno chi ama profondamente il cinema - ad un primo impatto e ad un livello di base, non solo sul piano dell'evasione ma soprattutto per la sua funzione catartica. Nel risultato espressivo e nella perfezione formale, può essere considerato un esempio quasi paradigmatico delle potenzialità creative del mezzo cinematografico a più di un secolo dalla sua invenzione.
Pier

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