14 febbraio 2012

FILM AL CINEMA - "L'arte di vincere" ("Moneyball") di Bennett Miller

Tratto da una storia vera, "L'arte di vincere" si inserisce esplicitamente all'interno del filone sportivo e narra la vicenda di un ex giocatore di baseball (che non ha mai "sfondato") divenuto manager di una squadra in crisi. Con l'aiuto di un giovane laureato in economia tenta di cambiare le regole del gioco attraverso la logica, adottando il "moneyball" del titolo originale, un sistema statistico che permetterebbe di assemblare una squadra vincente pur non disponendo di un alto budget.
Scritto e diretto con professionalità, il film si fa seguire dall'inizio alla fine ed affronta un tema se non altro interessante. Infonde la speranza che si possa cambiare il "sistema" dall'interno ma evita di sollecitare facili aspettative e rinuncia coraggiosamente anche all'espediente consolatorio dell'happy end. Brad Pitt, nei panni del tormentato protagonista, trova il giusto calibro attoriale, adoperando alcuni suoi cliché interpretativi già visti in altri film (a partire dallo sguardo e dalle movenze) all'interno di un contesto espressivo più asciutto e misurato, privo di impennate e di eccessi. Come a voler dosare, nell'arco delle due ore di narrazione, la sua verve "nervosa" (che sembra spesso sul punto di esplodere ed invece non si esplicita mai in nessun gesto troppo eclatante), rendendo estremamente incisiva la figura di questo non riconciliato del baseball. Ma proprio quello che probabilmente è il maggior risultato estetico del film rischia di diventarne il limite dal punto di vista del ricercatore del cinema che possa aiutare a vivere. Perché "L'arte di vincere" ci offre degli spunti costruttivi ma, veicolandoli attraverso un vissuto individuale così sofferto, non ci consente di potervi aderire fino in fondo.
Pier

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