16 maggio 2012

APPROFONDIMENTI - Breve storia del western all'italiana (1)

1. La nascita del western all'italiana.
Nel 1964 "Per un pugno di dollari" di Sergio Leone inaugura un nuovo approccio al mito del west, dando il via alla stagione del western all’italiana, prolifico filone della nostra cinematografia destinato, in poco più di un decennio, a produrre un impressionante numero di pellicole (oltre quattrocento). Era già qualche anno che in Europa e in Italia venivano prodotti dei western ma si trattava esclusivamente di imitazioni dei modelli americani. Nel 1962 era uscito "Il tesoro del lago d’argento" ("Der Schatz in Silbersee") di Harald Reinl, un western prodotto in Germania che aveva riscosso un grande successo di pubblico, dando inizio ad una fortunata serie. Il film, tratto da un romanzo di Karl May, una sorta di Salgari tedesco, fu girato in Jugoslavia ed interpretato da un attore americano allora abbastanza noto, Lex Barker. L’esempio tedesco, rivelatosi redditizio, fu subito imitato in Italia, dove era in atto una delle periodiche crisi del cinema, dovuta anche al tramonto del filone storico-mitologico (quello dei cosiddetti "pepla" o “sandaloni”), che, fonte di straordinari incassi fino a qualche anno prima, non incontrava più i favori del grande pubblico. Fecero quindi la loro comparsa i primi western italiani, come "Buffalo Bill, l’eroe del west" (1963) di Mario Costa.
Ma è "Per un pugno di dollari", come si diceva, ad indicare una strada completamente diversa da quella del western classico. Il film di Leone viene girato nella regione spagnola dell’Almeria, con un budget ristrettissimo, utilizzando addirittura il set e la troupe di un altro western ("Le pistole non discutono", 1964, di Mario Caiano), finanziato dalla stessa casa di produzione, la Jolly Film.
Ispirato a "La sfida del samurai" ("Yojimbo", 1961) di Akira Kurosawa e sceneggiato dallo stesso Leone insieme a Duccio Tessari e al non accreditato Fernando Di Leo, "Per un pugno di dollari" narra di un pistolero senza nome (Clint Eastwood) che, giunto in un paese al confine fra il Messico e gli Stati Uniti, fa esplodere, ricorrendo all’intrigo e al doppio gioco, il conflitto latente fra le due famiglie potenti del luogo, quella americana dei Baxter e quella messicana dei Rojo.
L’innovazione rispetto al western classico si trova innanzitutto nello stile, giustamente definito "barocco", basato sulla contrapposizione tra campi lunghi e primissimi piani, sull’uso frequente dei dettagli e sulla dilatazione temporale. In secondo luogo Leone fa convivere un realismo ignoto al genere con il potere evocativo del mito. San Miguel è un semideserto villaggio di confine ma anche uno luogo astratto, in cui non si muovono personaggi a tutto tondo bensì maschere, simboli. La violenza è rappresentata in tutta la sua crudezza, soprattutto nella scena del pestaggio, ma è anche più di una volta estetizzata. Colpisce, inoltre, l’ironia dissacrante che rasenta il sarcasmo. Ma la rottura più radicale col western classico si coglie nell’assenza di qualsiasi prospettiva etica o civile, che lascia il posto ad un mondo privo di leggi e di religione, dove è ormai tramontata la tradizionale differenza tra "buoni" e "cattivi"Il protagonista pratica il doppio gioco e non esita ad uccidere pur di fare i suoi interessi. Ma è anche capace di un gesto istintivo di amore gratuito ed in definitiva rimane avvolto nel mistero. 
Alla riuscita del film contribuiscono in modo determinante la fotografia dai toni caldi di Massimo Dallamano, l'innovativo commento musicale di Ennio Morricone, nonché l’apporto dello scenografo e costumista Carlo Simi. Da non sottovalutare, infine, l’intuito dimostrato dal regista nella scelta degli attori: Clint Eastwood e Gian Maria Volonté, fino ad allora poco noti al grande pubblico, conosceranno una fama crescente, anche al di fuori del genere western.
"Per un pugno di dollari" riscuote l’entusiasmo delle platee, incassando più di tre miliardi di lire, una cifra sbalorditiva per l’epoca. Ha inizio così l’avventura del western all’italiana. A causa del successo ottenuto, il film di Leone inaugura alcune di quelle peculiarità stilistiche e tematiche che caratterizzeranno buona parte del filone. Negli anni successivi i western all’italiana conosceranno una fortuna crescente: vi investiranno capitali sia produttori affermati come Dino De Laurentiis che case di produzione nate e morte nell’arco della realizzazione di un singolo film. Dai "professionisti dei generi" (Sergio Corbucci, Giorgio Ferroni) agli "intellettuali" (Damiano Damiani, Carlo Lizzani), molti registi italiani del periodo si cimenteranno in un western; alcuni, che in seguito prenderanno altre strade, lo sceglieranno per il loro esordio dietro la macchina da presa (Franco Giraldi, Giulio Questi).
Dopo il trionfo del suo primo film, Leone gira, con budget più elevato "Per qualche dollaro in più" (1965) e "Il buono, il brutto, il cattivo" (1966), completando quella che rimarrà celebre come "Trilogia del Dollaro".
"Per qualche dollaro in più" ha come protagonisti due bounty killer, il Monco (Clint Eastwood) e il Colonnello (Lee Van Cleef), entrambi sulle tracce dell’Indio (Gian Maria Volontè), un bandito violento, drogato e psicotico: il primo, giovane e cinico, vuole solo incassare i soldi della taglia, mentre il secondo, più anziano e maturo, persegue un piano di vendetta personaleLeone dirige un film stilisticamente più accurato ed accentua sia la componente del cinismo che quella dell’ironia. A Clint Eastwood e Gian Maria Volonté, che vestono i panni di due personaggi analoghi a quelli da loro interpretati nel film precedente, viene affiancato Lee Van Cleef, destinato, dopo questa interpretazione, a diventare uno degli attori-feticcio del western all’italiana.
"Il buono, il brutto, il cattivo" è invece una caccia al tesoro narrata con un tono da epopea picaresca, in cui l’ironia lascia il posto a vere e proprie situazioni da commedia. Un pistolero, detto il Biondo (Clint Eastwood), un killer senza scrupoli di nome Sentenza (Lee Van Cleef) e Tuco, un messicano che vive di furti e di espedienti (Eli Wallach) si mettono sulle tracce di duecentomila dollari nascosti in una tomba: le loro vicende si intrecciano, in un alternarsi di colpi di scena, con quelle della guerra di secessione. Si tratta del film più complesso della trilogia, sia dal punto di vista tematico che per le soluzioni registiche adottate. Questa volta Leone chiama l’attore americano Eli Wallach per interpretare Tuco, un personaggio dai modi istrionici ed inconfondibilmente latini, che conferisce al film buona parte del tono farsesco che lo contraddistingue.
Poco dopo l’uscita di "Per un pugno di dollari", Duccio Tessari, che ne era stato co-sceneggiatore, esordisce nel western con "Una pistola per Ringo" (1965). Una banda di rapinatori braccati si introduce in una villa signorile, prendendo in ostaggio i proprietari. Lo sceriffo assolda un pistolero di nome Ringo (Giuliano Gemma) per infiltrarsi tra i fuorilegge e cercare di risolvere la situazione dall’interno. 
Nonostante il cinismo di fondo (il protagonista, pur trovandosi dalla parte della legge, è comunque un pistolero che uccide per denaro), il film è caratterizzato da un tono beffardo e canzonatorio che troverà ulteriore sviluppo nel western all’italiana. Che Tessari non voglia prendere troppo sul serio il genere lo dimostrano alcune scene esplicitamente paradossali, al limite della gag, come quella in cui Ringo, armato di una pistola settecentesca con un solo proiettile in canna, riesce ad uccidere un uomo nascosto dietro un muro facendo rimbalzare il colpo su una campanella che ne devia la traiettoria. A differenza della "trilogia del dollaro" di Leone, in cui lo humour non contrasta con l’edificazione di una nuova mitologia, "Una pistola per Ringo" è attraversato da un’ironia che corrode dall’interno il senso stesso del mito. Il film riscuote un enorme successo, facendo assurgere Giuliano Gemma a divo del genere. 
Visto l’entusiasmo con cui il pubblico ha accolto il suo primo western, Tessari gira a ruota "Il ritorno di Ringo" (1965) che, nonostante il titolo, non è un sequel: lo stesso personaggio protagonista (interpretato sempre da Gemma) se si esclude il nome, non ha molto in comune con il suo predecessore. Ispirato alla parte finale dell’Odissea, il film è connotato da un tono lirico e drammatico, laddove nel primo prevalevano l’umorismo e il distacco.
Come Tessari, anche Franco Giraldi esordisce nel western all’insegna dell’ironia e del divertimento, dirigendo un dittico che ha come protagonista la numerosa famiglia scozzese dei MacGregor ("Sette pistole per i MacGregor", 1965; "Sette donne per i MacGregor", 1966): non a caso fra gli sceneggiatori del primo film figura proprio l’autore di "Una pistola per Ringo". Giraldi dimostra un notevole talento cinematografico,  soprattutto nelle scene d’azione, e dirige due western di grande impatto spettacolare.
In questo primo periodo, alcuni film innestano i moduli del nascente filone italiano su una struttura narrativa basata su personaggi e situazioni più tradizionali, ancora imparentati con il western d’oltreoceano: è il caso di "Adios gringo" (1965) di Giorgio Stegani, o di "Un dollaro bucato" (1965) di Giorgio Ferroni. Quest’ultimo film possiede un fascino particolare: la scelta degli attori (tra i quali Giuliano Gemma), la ricercatezza delle atmosfere, l’equilibrio tra il pathos e l’avventura, la scioltezza narrativa nonché l’indimenticabile colonna sonora di Gianni Ferrio ne fanno un piccolo classico del filone.
Pier

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