11 marzo 2014

FILM AL CINEMA - "12 anni schiavo" ("12 Years a Slave") di Steve McQueen

La storia è di quelle che prendono e sferzano un colpo dritto alla bocca dello stomaco. Intenso ed avvincente, il film del britannico Steve McQueen si lascia seguire con molta facilità tanto è coinvolgente la storia di Solomon Northup, prima schiavo per dodici anni e poi, riconquistata la libertà, autore del libro di memorie pubblicato nel 1853. Il regista disegna con inquadrature spesso lente e fisse un personaggio tenace e coraggioso (il bravissimo protagonista Chiwetel Ejiofor), sempre proteso alla vita, alla ricerca della libertà ed all’affermazione della giustizia nonostante sia costretto a subire l’ignominia di un’odiosa prigionia. Le immagini che ci propone sono quindi taglienti e delineano uno scenario impietoso e che non dà tregua.
E’ la verità, che ci piaccia o no, dell’asservimento dell’uomo all’altro uomo, il quale si fa portatore di valori che in realtà tali non sono affatto ma si rivelano soltanto la fin troppo facile occasione per esprimere la parte bruta di sé fatta di cattiveria, sadismo e freddo cinismo (perfetto nella parte del ricco e scriteriato proprietario terriero l’attore Michael Fassbender). Ad essa, però, fa da contraltare un’altra verità piena di fervore di vita, di umanità e di forza; caratteristiche queste quasi innate nel protagonista e rese benissimo dai suoi occhi vividi, specchio fedele della realtà che subisce - senza apparente possibilità di rivincita - insieme a tutti gli altri ricurvi al caldo, come lui, a raccogliere cotone cantando con tristezza e melanconia. 
Opera co-prodotta da un Brad Pitt sempre attento alle tematiche civili (lui stesso, non a caso, ritaglia per sé una parte "salvifica"), "12 anni schiavo" è supportato da una buona fotografia e da immagini che alla lunga si rivelano pero' un po’ troppo dure e statiche. L'impianto della narrazione - poi - e' classicheggiante e pare ricordare vecchie storie già note (qualche lettore forse ricorda lo sceneggiato televisivo del 1978 "Kunta Kinte"). Rispetto a "Django Unchained" di Quentin Tarantino - film che tratta lo stesso tema - manca, quindi, il clamore del racconto e lo scoppiettio pittoresco dei personaggi ovvero quel taglio, di certo tipicamente "tarantiniano", che regala allo spettatore una visione diversa e rinnovata, cruenta ma meno drammatica.
Viene comunque da chiedersi come mai, oggi, si avverta ancora l’esigenza di raccontare una storia di schiavitù. La risposta viene dallo stesso McQueen: perché queste cose non succedano mai più. E’, quindi, un pezzo di storia che non si può evitare di ricordare, anche ai giorni nostri, per mantenere vigile la soglia di attenzione al frastagliato mondo che ci circonda. Perché bianco e nero sono sempre due facce di un’identica realtà.
AleLisa

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