31 marzo 2014

FILM AL CINEMA - "Lei" ("Her") di Spike Jonze

Film dal contenuto sicuramente interessante, "Her" di Spike Jonze, pur promettendo molto, non riesce a mantenere le aspettative che suscita. Stavolta, infatti, il regista statunitense fa il pieno, firmando per intero anche la sceneggiatura, la cui singolarità tuttavia, sebbene d’impatto, non convince minimamente. Il risultato è così quello di un’opera cinematografica decisamente meno riuscita rispetto ad ''Essere John Malkovich"("Being John Malkovich"), scritto dal regista a due mani nel 1999 con Charlie Kaufman (ossia lo sceneggiatore dell'originale - in questo caso decisamente sì - ''Eternal Sunshine of the Spotless Mind"). Azzeccata in ogni caso la scelta del protagonista Theodore Twombly (l’attore Joaquin Phoenix), il cui sguardo agrodolce, a tratti anche un po' buffo come i pantaloni che indossa, rende bene l'immagine di un uomo deluso e profondamente ferito dalla fine di un amore mai elaborato. Il mondo della "macchina" diventa così il ricovero ideale nel quale proiettare le ansie di affetto, il calore umano e la complicità coniugale. 
Nella versione italiana della pellicola la "macchina" (ovvero il sistema operativo OS1) ha la voce sgradevole di Micaela Ramazzotti: inadatta, a tratti melensa, ricca di fastidiosi sibili e di imperfezioni cacofoniche. Ma non è questo a fare del film un'opera poco riuscita. I temi ci sarebbero tutti per un ottimo risultato. Dalla solitudine affettiva a quella esistenziale, dall'inveterata difficoltà delle relazioni a due al rassicurante rifugio degli anni 2.0 nel mondo di Hal 9000, dall'invadenza del virtuale nel privato alla nascita di una nuova alienazione, che assurdamente astrae l'uomo dalla carnalità della vita e delle sue passioni fino a prendere il sopravvento su di lui. Salvo poi accorgersi di nuovo (e meno male) che fuori c'è un mondo in carne ed ossa (rappresentato nel film da Amy, la dolce vicina della porta accanto).
Eppure quest'opera non convince perché resta fin troppo tiepida e distante da noi (neanche la scena di sesso virtuale sollecita pulsioni nascoste). La sceneggiatura poi è ricca di sbavature, inutilmente lunga e, nel tentativo di trovare una soluzione valida per il finale, rischia di annoiare lo spettatore senza nemmeno centrare l'obiettivo (l'escamotage del sistema operativo che dà forfait al buon Theodore lascia francamente perplessi). Belle comunque le scene girate in esterno e l’effetto visivo degli ambienti interni (colorati e confortevoli a dispetto di tutto il resto). Ma è ancora troppo poco per fare di questo film uno spettacolo da non perdere. In ogni caso ne è assolutamente consigliata la visione in lingua originale.
AleLisa

1 commento:

  1. Fantascienza esistenziale doc, priva di effetti speciali ma calata tutta nell'interiorità dei personaggi, umani o virtuali che siano. Siamo appena un po' più avanti della contemporaneità, il paesaggio umano ed urbano non mostra nessuna grande differenza rispetto al nostro quotidiano, l'unico "particolare" è che nel frattempo sono stati inventati dei programmi informatici dotati di autocoscienza. Il protagonista, Theodore, è un uomo solo, reduce da una separazione avvenuta da poco, che si barcamena soprattutto tra il lavoro (scrive lettere per conto terzi) e la sua vita casalinga, dedita per lo più al virtuale (dai videogames alle chat erotiche). Qualcuno gli rimprovera di essersi troppo isolato e di non saper affrontare le complicazioni della vita quotidiana. Pian piano si innamora - ricambiato - di Samantha, il suo sistema operativo...
    Il film ci coinvolge innanzitutto a livello immediato, attraverso la narrazione avvincente ancorché affidata a toni sommessi, i dialoghi intensi, l'interpretazione sobria e partecipata di Joaquim Phoenix (con un paio di baffi che paradossalmente ne addolciscono l'espressività), il grande talento visivo della messinscena, a partire dalla cura dedicata alle atmosfere, agli ambienti, ai costumi, ai colori. Contribuisce non ultima una colonna sonora ipnotica e struggente. Jonze (autore anche di soggetto e sceneggiatura) ci conduce verso territori di confine, solleva dubbi, ci mette di fronte a domande dalla risposta non semplice... Quella che ci propone è innanzitutto una grande storia d'amore, ricca di sfumature intime e psicologiche. E la tratta con grande delicatezza e sensibilità. A parte qualche dettaglio (non secondario però) scarsamente comprensibile nel prefinale, il racconto cinematografico emoziona e riesce ad arrivare in profondità. Curiosi alcuni particolari che si colgono tra le pieghe della vicenda (la migliore amica del protagonista e suo marito sono descritti come due perfezionisti che basano la loro relazione sul reciproco controllo: quando si separano lui si fa monaco buddhista; il sistema operativo autocosciente - maschio - che Samantha presenta a Theodore e che dà adito alle prime gelosie si chiama Alan Watts ed è stato creato a partire dai libri scritti dal celebre filosofo americano).

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