23 marzo 2017

ARTICOLI - L’arte della traduzione nel doppiaggio cinematografico: "Frankenstein Junior" di Mel Brooks (USA, 1974)

L’etimologia del verbo “tradurre” è di origine latina e letteralmente indica il “portare” - ducere -qualcuno o qualcosa “attraverso” - trans - qualcosa. Effettivamente l’azione della traduzione è proprio un trasportare qualcuno dalla propria lingua, cultura, civiltà e mondo, in un ambito completamente diverso. Anche due civiltà affini hanno sempre aspetti e modalità espressive assai diverse, cosicché la traduzione diventa sempre un’interpretazione. Un bravo traduttore è infatti colui che non si limita solo a trasporre un significante di una lingua in quello di un’altra ma colui che sa interpretarne il vero significato, con tutti i referenti semantici e metalinguistici che ogni testo, frase e singola parola comporta.
In Italia il film nacque da subito con la modalità dei dialoghi tradotti oralmente, dal momento che, agli albori del cinema (e fino ad oltre la metà del XIX secolo), la percentuale di analfabeti nel nostro paese era assai elevata: pertanto le pellicole in lingua originale con i sottotitoli (diversamente dalla stragrande maggioranza degli altri paesi europei) sarebbero state comprese da un numero limitatissimo di persone. L’usanza poi è rimasta in uso anche quando il livello di alfabetizzazione si è esteso pressoché alla totalità della popolazione.
Per tale ragione dunque i traduttori e gli interpreti dei film hanno sempre cercato di adattare i dialoghi dei film stranieri (in particolare di Hollywood) alla sensibilità italiana. Molto spesso i risultati sono stati mediocri, alcune volte pessimi…ma in alcuni casi il livello è stato talmente elevato che la traduzione (vera e propria riscrittura) ha superato addirittura l’originale. Prendiamo il caso dei calembour o giochi di parole che, per ovvie ragioni, non possono essere trasposti in un’altra lingua perché o si perde il gioco di parole o il referente semantico: in entrambi i casi l’effetto comico è decisamente inferiore all’originale. C’è però l’eccezione, che risulta essere più efficace addirittura dell’originale. 
In Frankenstein Junior di Mel Brooks (USA, 1974) i traduttori, dovendo affrontare le insidiose sfide dei numerosissimi giochi di parole presenti nei dialoghi, nella resa in italiano si sono superati, rendendo gli effetti comici esilaranti anche nella nostra lingua.
Si prenda ad esempio la scena in cui il medico Frankenstein viene condotto da Igor insieme alla giovane Inga per la prima volta nel castello.


Inga: Lupo ulula...
Dr. Frankenstein: Lupo "ululà"?
Igor: Là.
Dr. Frankenstein: Cosa?
Igor: Lupo ululà e castello ululì.
Dr. Frankenstein: Ma come diavolo parli?
Igor: È lei che ha incominciato!
Dr. Frankenstein: No, non è vero!
Igor: Non insisto, è lei il padrone!


In inglese il dialogo originale, giocando sul termine werewolf (che significa lupo mannaro), suona invece come segue.


Inga: Werewolf! 

Dr. Frankenstein: Werewolf?
Igor: There.
Dr. Frankenstein: What?
Igor: There, wolf. There, castle.
Dr. Frankenstein: Why are you talking that way?
Igor: I thought you wanted to.
Dr. Frankenstein: No, I don't want to.
Igor: [shrugs] Suit yourself. I'm easy.


A volte tuttavia alcuni elementi inevitabilmente si perdono come nel dialogo in cui Igor (magistralmente interpretato da Marty Feldman) si presenta per la prima volta al Dottor Frankestein.



Igor: Doctor Frankestein?

Dr. Frankenstein: Frankenstin...

Igor: Vuol prendermi in giro?
Dr. Frankenstein: No, si pronuncia Frankenstin...
Igor: Allora dice anche Frederaick.
Dr. Frankenstein: No, Frederick...
Igor: Be', perché non è Frederaick Frankestin?
Dr. Frankenstein: Non lo è... È Frederick Frankestin...
Igor: Capisco.
Dr. Frankenstein: Tu devi essere Igor.
Igor: No, si pronuncia Aigor.
Dr. Frankenstein: Ma mi hanno detto che era Igor!
Igor: Be', avevano torto, non le pare? 


In questo caso purtroppo il referente metalinguistico si perde poiché il nome Aigor al pubblico italiano non dice nulla ma su quello inglese ha indubbiamente degli effetti comicissimi, dal momento che in inglese è “Eye Gore” ossia “sangue nell’occhio” che, fuso con gli strabici e protuberanti occhi dell’attore, diventa esilarante.
Il film risulta essere tra i più comici non solo tra la produzione di Mel Brooks ma della cinematografia in genere. E' necessario rendere merito allo straordinario lavoro di quanti hanno saputo comprendere la comicità dell’originale per poi rielaborarla nella propria lingua di appartenenza.
Danilo Giorgi

3 commenti:

  1. AleLisa26/3/17

    Caro Danilo, condivido appieno.
    In genere, infatti, ogni film andrebbe sempre visto solo in versione originale (sottotitolata alla bisogna).
    Altrimenti, salvo rarissime eccezioni, si perde inevitabilmente la forza espressiva e talvolta esplosiva del 'vero' attore, la vis comunicativa prodotta dal timbro, dal tono e dal suono della sua voce in carne ed ossa.
    In pochissimi altri casi (forse in 'The Party' di Blake Edwards, restando nel genere comico?) la traduzione è riuscita a raggiungere lo stesso effetto di questo film, nel quale, evidentemente, l'attività interpretativa è stata una sapiente traduzione di simboli in altri simboli pienamente rispondenti allo spirito e al 'dettato' di quelli originali.

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  2. Danilo Giorgi27/3/17

    Grazie per il commento! Penso anche io che molto spesso una traduzione svilisca e sminuisca (e spesso travisi) davvero la carica di un film. Basti pensare alle comicissime (e arbitrarie) traduzioni che spesso vengono effettuate degli stessi titoli dei film...

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  3. Molto interessante l'articolo e condivido appieno il fatto che la traduzione sia importante. Anche sugli stravolgimenti dei titoli dei film mi sono già espresso più volte su questo blog...

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