1 marzo 2017

ARTE FIGURATIVA AL CINEMA - Riflessioni su Camille Claudel, prendendo spunto dal film di Bruno Nuytten (Francia, 1988)

Alla difficile domanda su cosa sia l’arte molti critici, filosofi e pensatori di ogni paese, periodo e genere hanno cercato di dare una risposta, spendendo chilometri di inchiostro, dando centinaia di migliaia di risposte tra loro diverse (molto spesso addirittura antitetiche), con poche certezze comuni in merito. Tra queste sicuramente c’è quella della sua indiscussa capacità, compito e missione di commuovere (nel senso etimologico del termine, di movere) chi ne sappia apprezzare e godere le sue manifestazioni più nobili. L’arte dunque deve saper parlare un linguaggio universale, raggiungere gli aspetti più profondi di qualunque fruitore, indipendentemente da ceto sociale, preparazione culturale e appartenenza geografica o storica. L’arte non è solo lingua, pentagramma o colori ma è poesia, armonia ed emozione.
Il grave difetto dell’arte moderna e contemporanea resta la perdita dello scopo primario dei suoi artisti. Stupire non è meravigliare, protestare non è coinvolgere, provocare non è emozionare. Benché la scultura abbia modalità espressive da una parte facilmente comprensibili da un vasto pubblico, dall'altra soffre l’inevitabile accademismo che le sue creazioni a volte manifestano. Lo scultore deve dominare una materia indubbiamente difficile e la lunga gestazione di ogni opera non facilita la libertà espressiva. 
Il fenomeno artistico di Camille Claudel è pertanto doppiamente interessante e straordinario in quanto tale. L’incredibile espressività delle sue opere, la profonda intensità psicologica dei suoi volti ne fanno un’artista moderna, libera da accademismi e retoriche manieristiche. Ogni scultura emana vita e realismo, non nella resa quanto nei contenuti, in quella profonda presenza di umanità che la scultura ha o dovrebbe avere il compito di preservare e trasmettere. La vita è nei sentimenti e nell'intima percezione psicologica che uno sguardo, un gesto, un particolare, finanche un lembo di vestito riesce a comunicare. Se si considera poi che Camille era donna in un periodo in cui essere donna non era dei più facili, per di più artista - e soprattutto scultrice - in un mondo di uomini e per soli uomini, il fenomeno della sua creazione diventa portento che ha del miracoloso. Se molte biografie dell’epoca (figlie di uno stereotipo di genere) la ritraggono come discepola di Auguste Rodin, la pressoché totalità dei critici posteriori non solo le riconosce un’oggettiva individualità e indipendenza di spirito e realizzazione artistica, ma ne inverte anche il rapporto di influenza, rendendo il celebre artista influenzato e soggiogato dalla potente carica espressiva della donna.
Camille non ebbe una vita facile. Perché donna, perché sensibile e soprattutto perché fedele prima di tutto a se stessa, alla sua arte e alla sua passione. Internata, seppellita viva in un manicomio (triste destino di moltissime sue contemporanee), le sue opere vennero riscoperte e apprezzate quando di lei, ancora viva, si ormai era persa memoria. Conoscere l’artista Claudel significa non soltanto accostarsi alla storia della scultura del XX secolo, significa anche comprendere il dolore che un artista partorisce nel travaglio di ogni sua opera, ma scoprire anche le drammatiche vessazioni, offese e umiliazioni che ogni donna, possibilmente dotata di un cervello superiore alla media, fu costretta a subire da una società bigotta, conservatrice e maschilista.
Il film di Bruno Nuytten del 1988, tratto dal saggio Camille Claudel. Frammenti di un destino d'artista di Reine-Marie Paris, oltre a raccontare con discreta fedeltà biografica le drammatiche vicende dell’artista come donna, ne ha saputo cogliere e valorizzare le sue opere come artista.
Danilo Giorgi

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