25 settembre 2012

FILM AL CINEMA - "Gli equilibristi" di Ivano De Matteo


Presentato nella sezione "Orizzonti" dell'ultimo Festival di Venezia, vincitore del premio Pasinetti (SNGCI) per la straordinaria interpretazione come protagonista di Valerio Mastandrea, questo film diretto da Ivano De Matteo non presenta grandi verità da svelare ma tutto si può immaginare fin dopo le prime sequenze. Ci si ritrova in una realtà di ordinaria caduta, già tante volte delineata, che sottende la vita di quelle coppie "normali" che "osano" separarsi: i nuovi poveri. Un film onesto - un po’ troppo didascalico e dimostrativo - anche se con un finale improvviso e stonato rispetto all'andatura precedente.
Mi ha ricordato il neorealismo italiano, dove era praticata la cosiddetta "poetica del pedinamento", che si riferiva al modo in cui la macchina da presa seguiva da vicino i personaggi, in maniera apparentemente documentaristica ma carica di tensione morale e di partecipazione emotiva da parte degli autori (in qualche inquadratura Mastandrea mi ha richiamato alla mente Carlo Battisti, interprete di "Umberto D." di Vittorio De Sica).
Più che un immediato "aiuto a vivere" mi ha riportato indietro nel tempo, alla mia diretta esperienza di giovane moglie separata con figlia, ed in questo senso aderisco all'invito di Pier di arricchire le nostre recensioni di maggiore soggettivismo che di critica estetica. I tentativi fatti per evitare questa rottura mi hanno consumata ma alla fine ho potuto solo accettare la scelta dell’altro.
Qui c’è una famiglia unita, dove il mestiere dei genitori viene svolto con dedizione e tenerezza, ma di fronte ad una "scivolata" non ci si appella ad un forte senso di responsabilità affettiva e familiare, ma si ricorre alla soluzione divenuta tristemente consueta: la separazione. L’impegno a resistere, i tentativi di trovare alternative, lo sforzo di ripartire da altre premesse non viene considerato: sembra più semplice ritrovarsi soli e ripartire, senza considerare che chi fa parte di quello stesso nucleo vivrà una profonda lacerazione, i cui effetti possono restare segni indelebili nella sensibilità dei protagonisti.
In sintesi questo film mantiene la sua funzione di "strumento" per aiutare ad affrontare con più lungimiranza una crisi, cercando di allontanare da sé quella soluzione che poi nella pratica soluzione non lo è affatto, ma può trasformarsi in tragedia.
Carla Costanzi

7 commenti:

  1. Eccone un altro dei film di Venezia che esce nei cinema e al quale non ho prestato la minima attenzione... Dalle presentazioni mi ispirava un senso di malinconia e di sconforto. Quello che scrivi mi induce invece una maggiore curiosità. Mi sembra che proponi un'interpretazione costruttiva anche se per contrasto, attraverso una consapevole forzatura critica. Interessante. Non so se andrò a vederlo (ci sono altre opere che mi attraggono di più al momento) ma dopo la tua recensione sono possibilista :)

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    1. Non sono rimasta colpita dal modo in cui è stato pubblicizzato questo film. Lo avevo, quindi, scartato dalle mie prossime visioni. Ora, però, ho cambiato opinione. Gli 'squilibri' di coppia d'altra parte mi hanno sempre incuriosito. Pier andiamo?

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    2. Perché no? Si può fare :)

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  2. Un pugno dritto alla bocca dello stomaco. La disperazione che ci vive accanto. La deriva nella quale possiamo cadere tutti noi magari per motivi diversi da quelli del protagonista. Un film che fa male, anzi, malissimo sin dalle prime sequenze. Il finale ci fa sentire salvi ma quanta e quale sofferenza abbiamo dovuto patire prima di poterci mettere al riparo. E, ciononostante, il senso di angoscia e frustrazione continua ad attanagliarci come terribile presagio di un nostro possibile, infausto futuro.

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  3. Mi dispiace sinceramente Alessandra che la visione di questo film ti abbia fatto così male: E' proprio vero: ognuno di noi percepisce la stessa realtà secondo il contesto e lo stato d'animo presente. Per me - come ho cercato di far capire nella recensione - era un dejà vu; anzi ho rivisto quanta strada ero riuscita a fare dal baratro dove ero caduta mio malgrado e da dove mi ero rialzata vincendo io la vita, senza lasciare che questa vincesse me.Ho lottato incredibilmente da sola, senza nessun aiuto, ma sono riuscita a restare interprete e non personaggio della mia realtà. Riconosco che oggi forse le tensioni che mi hanno catalizzato allora, pur nella disperazione, nel tempo si sono sgretolate tra le mani e difficilmente si ritrovano oggi negli animi. In ogni caso anche io mi sono ritagliata spazi e risorse dal niente, però posso dire che sono riuscita a vincere. Pensa a questo film come antidoto per quello che non vorremmo mai ci capitasse.

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    1. Non dovrebbe capitare mai a nessuno. Purtroppo - però -quel dolore ci vive accanto, ce l'abbiamo vicino e spesso non lo vediamo, non ci facciamo caso, sta lì, non è nostro e questo sembra bastare. Il film può avere una lettura positiva, certo; ma la sua drammatica attualità me riduce sensibilmente la positività e ci richiama - - quanto meno - ad un dovere di attenzione e, possibilmente, di aiuto all'altro.

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  4. Un'altra riprova di quanta parte giochi la soggettività (e spesso anche il periodo di vita, quando non l'umore della giornata) nel proporre un film come strumento che possa aiutare a vivere...
    Personalmente l'ho trovato teso ed angoscioso per l'intera sua durata. Pur riconoscendone lo spessore espressivo francamente me lo sarei evitato...come mi suggeriva l'intuito! :)

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