Magia del cinema. Un film muto e in bianco e nero che, nell'epoca del 3D e del digitale, riesce a coinvolgere intensamente dall'inizio alla fine. Ambientato nella Hollywood a cavallo tra gli anni '20 e '30 e girato con uno stile che allude a quello del cinema di allora, "The Artist" appassiona per il disegno dei personaggi, la fluidità dell'intreccio narrativo, la sincronia tra le immagini e la colonna sonora. E indubbiamente per gli attori, dai due protagonisti ai comprimari (fra i quali diversi volti noti del cinema hollywoodiano), fino allo sbalorditivo cane Uggy.
Operazione cinefila accuratissima e riuscita, talmente controtendenziale da rischiare paradossalmente di diventare "trendy". Ma non solo un esercizio di stile: la vicenda si propone come parabola "morale" sullo sgretolamento progressivo dell'autorappresentazione egomaniacale del protagonista, che lascia il posto al riconoscimento della propria fragilità e del bisogno dell'altro. Un altro film interessante (e che può aiutare a vivere) nel ricco panorama cinematografico di questo scorcio d'autunno.
Pier
Accidenti, questa recensione conferma tutto quello che la visione del trailer mi aveva trasmesso, ossia un ottimo mix tra musiche, immagini, mimica degli attori, emozioni intense. E poi l'originalità (ma soprattutto il coraggio) nella scelta del genere mi incuriosiva alquanto...Da vedere quanto prima, dunque.
RispondiEliminaSi, direi proprio che c'hai preso :)
RispondiEliminaTi consiglio la visione al cinema. Io l'ho visto allo Stardust del Torrino. In sala non eravamo più di una dozzina ma, per l'intera durata del film, si poteva percepire nell'aria il senso di vivida partecipazione di quei pochi temerari che avevano scelto per il sabato sera uno spettacolo così atipico. A parte le risate, regnava il silenzio assoluto. E questo aspetto apparentemente marginale mi ha fatto apprezzare ancora di più il film.
E' un dettaglio che spesso trascuriamo quello del contesto della fruizione dell'opera. "The Artist", col suo rifarsi agli elementi primordiali dell'incanto cinematografico e attraverso le scene dedicate al pubblico delle sale di allora, ci induce a ritornare a sintonizzarci sulla frequenza empatica della visione filmica.
Visione del primo dell'anno, sala piuttosto gremita, un pubblico rapito, attento, commosso, che addirittura applaude ai titoli di coda. Strabiliante, pura poesia in immagini. Personalmente mi sono invaghita sin dall'inizio del protagonista George Valentin, per me un totale sconosciuto Jean Dujardin. Completamente affascinata dall'intensa mimica facciale e dalla profonda drammaticità che questo attore ha saputo davvero trasmettere, ho assaporato questo film tutto d'un fiato. Ma la cosa che più mi ha fatto riflettere è che nell'epoca degli effetti speciali, del bombardamento dei suoni e delle immagini, dell'esaltazione della violenza, una platea ammutolisce e si inchina dinanzi un film muto, e se ne appassiona. Chissà....forse per l'umanità esiste davvero qualche speranza di cambiamento, chissà...
RispondiEliminaInteressante come questo film ci stia spingendo ad osservare e condividere l'atmosfera che si crea in sala durante la proiezione...Due contesti differenti (nel mio caso eravamo pochissimi mentre tu parli di una sala gremita) ma con un risultato simile...E da come concludi risulta evidente che la fruizione dell'opera abbia aiutato a vivere...
RispondiEliminaPrimo. è la prima volta che mi capita che la gente applauda a fine film (per di più non di prima visione). Secondo. è la prima volta che vado al cinema a vedere un film in bianco e nero per di più muto (anzi un muto sulla nascita del sonoro...geniale). Terzo. la sala intera rimane incollata alle poltrone rapita dalle immagini...senza suoni, ed infatti ride, si emoziona e poi, appunto, applaude. Si potrebbe continuare ancora a lungo, ma avete già espresso molto che condivido, "poesia delle immagini" in un mondo di effetti speciali potrebbe già bastare...la quattordicenne che a fine film chiedeva al padre perché l'avesse portata lì mi fa riflettere (ma poi non più di tanto);la bravura degli attori..certo anche il cane Uggy, la cui espressività non ha nulla da invidiare ai protagonisti umani...ma questo è pur sempre un blog sul cinema che aiuta a vivere, e allora trovo la parabola dell'uomo "egomaniacale" che si riscopre fragile e solo ma che anche grazie all'amore e comprensione altrui riesce a rinascere, a reinventarsi una vita, quel qualcosa in più che rende il film, già di per se ardito e ben pensato, un film che aiuta a vivere...nel silenzio della nostra solitudine e nel frastuono della società che ci circonda
RispondiElimina...non credo di avere altro da aggiungere...questo film ci trova concordi a tutti e tre...piena sintonia anche col tocco poetico della tua frase finale...
RispondiEliminaSolo ieri sono andata andare a vedere questo film e l'emozione mi ha impedito di ordinare le impressioni avute a cascata: serviva un tempo di sintesi.
RispondiEliminaUna pellicola che nel nostro immaginario e nella stessa stesura cinematografica riassume "la magica storia del cinema".
Si riaffacciano sequenze ormai storiche: Nuovo Cinema Paradiso,Cappello a cilindro con gli intramontabili Fred Astaire e Ginger Rogers,I Tre moschettieri dove primeggiava il mitico Robert Taylor....
La cifra stilistica è oltre qualsiasi aspettativa.
L'abilità nel rappresentare un film muto e in bianco e nero è superiore alle pellicole originali dell'epoca di riferimento.
E come gran parte dei film del primo periodo di produzione cinematografica "aiutavano a vivere" perchè ci sapevano trasportare nei sogni e soprattutto ne conservavano l'illusione di una realtà fiabesca.
Come da pronostico, alla cerimonia dei Golden Globe Awards di ieri sera, "The Artist" svetta su tutti conquistando tre premi: miglior commedia, miglior attore protagonista (Juan Dujardin) e miglior colonna sonora. Non possiamo che accogliere la notizia con grande piacere. Attendiamo l'oscar...
RispondiEliminaEd eccolo qua, il dominatore degli Oscar 2012,la pellicola in bianco e nero che fa rivivere l'era del muto, si e' aggiudicata infatti: premio per il migliore film, premio per la migliore regia con Michel Hazanavicius, premio per il migliore attore protagonista con Jean Dujardin, e infine quelli per la migliore colonna sonora e i migliori costumi.
EliminaAccidenti bel colpaccio, meritatissimo!!!
Non mi stupisce. L'avevo scritto all'uscita del film e lo confermo oggi: talmente in controtendenza da diventare "trendy"...
RispondiElimina(contiene spoiler)
RispondiElimina"The Artist" è un film che, dietro l’omaggio nostalgico al cinema muto, porta in scena un dramma profondamente umano: la difficoltà di accettare che chi abbiamo formato, sostenuto o persino “creato” possa, a un certo punto, superarci. La scena in cui il protagonista appone il neo sulla guancia della giovane attrice è emblematica: non è solo un gesto di maquillage ma l’atto simbolico di un demiurgo che dà vita a una nuova stella. Il paradosso psicologico sta nel fatto che, nel momento in cui quella stella inizia a brillare di luce propria, inevitabilmente oscura chi l’ha accesa.
Questo tema, presente anche in altri film, da "Luci della ribalta" ("Limelight") di Charlie Chaplin (USA 1952) al più recente "A Star Is Born" di Bradley Cooper (USA 2018), tocca corde universali: il timore del declino, la fragilità dell’ego, l’incapacità di reggere il confronto con chi ci supera, soprattutto se è qualcuno che abbiamo aiutato a emergere. Il protagonista non “genera” un erede, ma plasma una figura che gli deve la propria identità. La tensione psicologica nasce quando quella creatura, invece di restare grata e subordinata, diventa autonoma, indipendente, più luminosa del suo stesso creatore. Qui la ferita non è solo narcisistica, è quasi ontologica: se ciò che ho creato mi supera, allora chi sono io?
Il mito che meglio illumina questo conflitto è quello di Pigmalione: lo scultore che dà vita a Galatea e che poi, inevitabilmente, si trova davanti a una creatura capace di vivere oltre il suo atto creativo. Nel film questa dinamica diventa una metafora del successo e della fama: lo star system produce idoli ma quegli idoli possono rapidamente sostituire chi li ha generati.
Ciò che rende "The Artist" particolarmente riuscito non è solo il tema, bensì il linguaggio con cui viene espresso. Hazanavicius sceglie infatti di raccontare la caduta di una star del cinema muto proprio attraverso le forme espressive del cinema muto stesso. Senza parole, gli stati d’animo si comunicano tramite il corpo, i volti, i gesti. Ogni smorfia è amplificata, ogni movimento diventa significante. La scena al ristorante, in cui la giovane attrice parla delle “smorfie” del protagonista, non è un dettaglio casuale: sottolinea la differenza tra un modo di comunicare diretto, visibile, immediato, e il nuovo linguaggio del sonoro, più sottile e sfaccettato.
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